Ci siamo quasi. Stiamo per strappare un’altra pagina alla notte di fine anno, tra calici al cielo e l’auspicio di un anno cortese. Questo benedetto 2021, dalle parvenze liete e dalle grandi aspettative, ha rivelato mesi d’ombra con eventi di ruggine e fiele. L’annus horribilis della speranza di tornare ad una normalità da sempre sottovalutata e ora così tanto agognata. Pare siano rimasti a nudo solo gli occhi, ambiziosi comunicatori di malinconiche fatiche, mentre noi ci siamo ritirati in un’intimità forzata dai contorni opprimenti. Una condizione che si somma al tran tran quotidiano, agli imprevisti, alle perdite di una vita che rifugge dalla staticità.
Sono sbiaditi gli arcobaleni sui balconi dagli inni trionfanti e dalle aspirazioni vittoriose. “Andrà tutto bene“, sbandieravano, “Ce la faremo!“. Quelle lenzuola svolazzanti non erano accompagnate, però, da un libretto d’istruzioni. Come ce l’avremmo fatta non era specificato ma, in fondo, poco importava in quel momento. Lo spirito era combattivo e fiducioso. Ora, alla soglia del nuovo anno, mentre tiriamo le somme, ci rendiamo conto che qualche aspettativa è venuta meno ma sicuramente non ci fermeremo nel nostro andare.
C’è una cosa che non smette mai di meravigliarmi, nonostante sia una constatazione già appurata in varie circostanze, ed è la capacità dell’essere umano di sopportare e supportare. L’abilità di stringersi, raccogliersi in occhiate di complicità, sentire la mano dell’amico vicina e seguitare a camminare. Si arriva ad un punto in cui si pensa che “No, stavolta non ce la posso fare” e invece, poi, in un modo o nell’altro si fa. E ci si guarda indietro con soddisfazione, con l’orgoglio di poter dire “Eppure ce l’ho fatta anche stavolta“.
L’anima è protesa in avanti, reclama un’altra chance per le speranze assopite e i sogni che non hanno mai smesso di ribollirci dentro. Guarderemo al passato come a un deragliamento momentaneo, un errare che ci ha destinati ad una sosta, lasciando però inviolati i viaggi del pensiero. Questo pellegrinare su sentieri sghembi altro non è che la nostra condizione esistenziale. Non siamo destinati a rimanere immobili, scivoliamo nel mondo protetti da affetti inestimabili. A restare saranno i ricordi, che sentiremo bruciare negli occhi e scorrere nel sangue. Li continueremo ad ascoltare nel crepitio del ciocco di Natale, nei fischi dei bambini in piazza, negli odori familiari scovati nei vicoli di paese.
Funamboli, ecco cosa siamo. Lo scrittore Paul Auster, ne L’arte della fame (1982), parla del funambolismo come di “un’arte solitaria, [-] un modo di affrontare la propria vita, nell’angolo più oscuro e segreto di se stessi“. E cosa siamo stati in questi due anni se non dei funamboli costretti a camminare sul filo di timori fumosi, spesso ignorati con l’aiuto di luci digitali e filtri del pensiero. Abbiamo fatto i conti con gli assilli di una società spaesata, in un procedere a tentoni privo di lucidità. Ma abbiamo comunque camminato, fatto e disfatto percorsi; siamo andati avanti al “limite del possibile“.
Le parole, i ricordi, i progetti ambiziosi, i successi e i fallimenti richiedono un procedere lento, un muoversi a piccoli passi come fossimo su una fune, poggiando “non il piede di colpo ma prima la punta, poi la pianta e infine il tallone“. La lentezza rende il passo leggero, diminuisce il margine di errore, sfama i dubbi dell’irruenza. Siamo equilibristi con la possibilità di imparare a danzare su un filo, in equilibrio sul crinale dell’esistenza. Quando si è sulla fune non serve guardare in basso, ben che meno guardarsi indietro. Il necessario si trova guardando avanti, restando dritti, con la testa alta e l’ostinazione di scegliere il futuro per non cadere. Noi siamo il nostro bilanciere.
Uscite dal guscio e abbandonatevi alla bellezza di questo perenne vagare. Coglietene l’adrenalina e trovate l’agilità per mantenere l’equilibrio.
Non ostinatevi nella ricerca di spiegazioni insensate ma cogliete l’essenza di un pellegrinare che ha solo voi come meta. E non lasciatevi spaventare se gli ostacoli sembrano sopraffarvi, perché in qualche modo ce la farete. Conservate la curiosità dei bambini e siate pronti all’inaspettato e all’incontrollabile. Offrite ossigeno agli incontri casuali, permettetegli di prendere forma e diventare legami da coltivare. Sono doni del caso, in cui potersi riconoscere e rifugiare quando si muoveranno passi al buio. Il senso di tutto questo, dell’esperienza umana svelata dai piccoli gesti, lenisce lo spirito, lo rende meno vulnerabile alla malinconia che tornerà a farci visita.
Ascoltate il respiro della terra e concedete tempo agli eventi per crescere, maturare e sfiorire. Siate scorrevoli, creativi, proteggetevi con l’arte e i libri quando vi sembrerà di essere a corto di comprensione da parte dell’umanità.
Vi auguro di imparare a camminare con coraggio, di restare in equilibrio su questo filo perennemente teso che è la vita. Ricercate la stravaganza e l’eroismo per affrontare questo nuovo anno che, di certo, qualche sorpresa la riserverà.
Un pazzesco e felice 2022 a voi, audaci di ogni età.
“Bisogna battersi contro gli elementi per apprendere che tenersi su un filo è poca cosa, ma restare dritti e ostinati nella nostra follia di vincere i segreti d’una linea è per noi funamboli la forza più preziosa.”
Philippe Petit, Trattato di funambolismo, 1985.