L’amore a 30 anni NON è roba da tutti
L’amore a 30 anni ci rende socialmente disagiati e sentimentalmente inetti. Irrimediabilmente incapaci di lasciarsi andare a qualunque ombra di sentimento possa paventarsi. L’amore a 30 anni è un delirio. Una continua forzatura guidata dall’ossessione della Big Bang Theory del momento: evitare legami che scombussolerebbero gli equilibri di una vita leggera e piena di impegni. Insomma una sorta di castrazione sociale, nonché umana.
Ma cercherò di spiegarla con più leggerezza…
L’amore è un po’ come il taglio dei capelli: ogni età ha il suo. La piega che vogliamo fargli prendere è sempre studiata nel dettaglio. Ma poi basta incrociare casualmente una corrente d’aria per capire che nessuno ci pettina bene come il vento. Così direbbe Alda. E quale nonna non ci si è raccomandata, almeno un fottio di volte, di non metterci a corrente che è pericoloso… che poi i dolori te li porti dietro con le reume (in italiano chiamati: reumatismi articolari) fino alla vecchiaia. Vedi, poi, la saggezza senile…
Dice, la nonna, che le correnti d’aria ti beccano quando meno te l’aspetti. Ma in attesa di incrociare un tifone, che ormai a me le correnti d’aria non fanno più né caldo né freddo, il quadro amoroso che si palesa attualmente mi ha fatto giungere a queste poche, ma significative, conclusioni.
A 20 anni fiorivano le viole…
A 20 anni fiorivamo come viole. Qualunque taglio di capelli ci stava bene. Pelle tirata a fionda, colorito acceso come Times Square la notte di Natale e la leggerezza di un bicchiere in più che tanto la mattina si dorme fino all’infinito e oltre. Le zampe di gallina, a 20 anni, erano solo quelle che nonna metteva nel brodo per farlo più sostanzioso. Ci si prendeva e mollava alla velocità di un giro di giostra.
Ma non c’erano dubbi: a prendersi almeno ci si prendeva. E pure al volo. Poi se andava andava. Se, invece, non andava, avevamo pagine e pagine di diari da riempire con biglietti del cinema, chewingum incollati e cuori in fiamme. Si facevano entrare ragazzi nelle proprie vite con la stessa semplicità con cui oggi si fanno entrare nelle mutande. Una conversazione, ad esempio, tra un ragazzo prode (d’ora in poi RP) e una ragazza sognante (RS) poteva essere di una semplicità e di una bellezza disarmante. Una roba del tipo:
RP: Ciao
RS: Ciao
RP: Come è andata la versione di greco?
(ndr: perché i ragazzi di una volta, quelli impavidi e astuti, agivano sotto l’effetto stordimento da versione di greco)
RS: Mah, non so. Esopo è sempre un po’ così… pensi di averla capita quella sua favola, invece ti riscopri la reincarnazione dei Fratelli Grimm. Poi la smania di quella volpe, l’uva troppo in alto. E mi pare fosse pure acerba o giù di lì. Non so, credo di non averne afferrato perfettamente il senso.
RP: Vabbè sorvolando sul senso, almeno proviamo ad afferrare un gelato insieme? Secondo me con un gelato all’uva ce la facciamo a capirlo questo senso. Che magari stavolta la volpe una zaccagnata all’uva ce la fa a dargliela.
(ndr: un gelato. capite?! un gelato! Se a me chiedessero oggi “ti va un gelato” credo risponderei con una damigiana di lacrime di commozione al gusto uva)
RS: Ma solo gusto uva posso scegliere? Un cono da 1,500 lire? No perché a me un cono piccolo non c’arriva neanche allo stomaco.
(ndr: si viaggiava lontano da problemi di cellulite e braccia alla Popeye)
RP: Tutti i gelati che vuoi. Tanto sono passato da nonno a fare scorta di monete ed è pure giorno di paghetta. Posso sciallare e spingermi oltre i limiti del gelataio. Osa pure, coraggio!
RS: Allora oso eh?!
RP: E sì, dai. Anzi, osiamo insieme va. Che in due si osa meglio.
Se, poi, quell’amore al gusto d’uva durava i giorni di un’estate, pazienza. Che vuoi farci. Ma quanto è stato buono quel gelato tra chiacchiere al tramonto, risate e slinguazzate ai mille gusti…
A 30 anni le viole sono belle che sfiorite…
Le estati finiscono, le gelaterie passano di moda e i gelati si sciolgono. Arriva il tempo dei cocktail, delle notti brave con il fisico che non regge, dei post office nei locali gnègnè della Capitale. Tacchetto a spillo perché il tacchetto a spillo fa culo alto e figa di legno. E anche se non lo sei devi farlo credere. Ormai è norma fatta legge. Perché come tira la figa di legno nessuna mai. Vediamo di farla nostra questa verità assoluta.
La mercanzia è sul banco. La piazziamo bene in mostra. Ci mettiamo d’impegno per far vedere che non manca nulla. Ma proprio nulla eh. Fidatevi che c’è proprio tutto vi dico. Un’indipendenza sudata, addirittura stipendiata! Un discreto bagaglio di esperienze. Errori già fatti e consapevolezze spesso date per scontate. Un carattere formato, deciso, intraprendente. Un concetto di donna fatta e finita, insomma. Perché se a 30 non sei una donna fatta e finita allora significa che a 20 non hai visto abbastanza tramonti.
Per raccontarla in breve, l’età dell’innocenza è finita come direbbe la single più incallita di New York. Benvenuti nell’era dell’anti-innocenza. Benvenute nei 30.
A 30 anni le colazioni da Tiffany hanno lasciato spazio alla sveglia delle 7, con le occhiaie che gridano vendetta e i capelli alla Dolly Parton. Un caffè al volo è più che sufficiente. Ma giusto perché in ufficio è acqua zozza, si sa. L’obiettivo è sfangare un’altra giornata, archiviando il più in fretta possibile la serata precedente. Tornare sobrie dopo l’ultimo cocktail buttato giù come neanche Boris Yeltsin per capirci. L’istinto all’autoconservazione prende il sopravvento. Darwin è risorto e non ci capisce una sega in mezzo a noi. La priorità a chiudere porte e questioni che potrebbero avere un seguito ha sempre la meglio. Il romanticismo è un vago ricordo e Cupido ha preso il volo dal condominio.
Il dialogo che, in una serata, può avvenire tra un uomo senza aggettivi (d’ora in po USA) e una donna senza parole (DSP) ha dell’incredibile. Una cosa del tipo…
USA: Ciao
DSP: Ciao
USA: Ti offro da bere?
DSP: Ma sì dai, perché no. Un vodka tonic, grazie.
USA: Facciamo due va, che mi risulta più facile avere un dialogo che rasenti la normalità.
DSP: Se lo dici tu…
USA + DSP: …
USA: Non vorrai mica fermarti a dormire vero?
DSP: Ma, veramente… io…
USA: Dai non scherzare. Sei simpatica, lo so, ma senza esagerare. Che certi scherzi il cuore non me li regge. Poi da lì a vedersi il bianco come ti cade addosso è un attimo. E sai, proprio non me la sento… perché sai, il lavoro, gli amici, lo sport… Il lavoro l’ho già detto per caso? Il lavoro è vita. E gli amici che direbbero? Non saprei proprio come infilarti in mezzo all’agenda… neanche come segnalibro a filo di cotone. Però nel letto sì, lì tempo e modo per infilartici lo trovo di certo. Anche se sarebbe meglio il divano. Meno intimo, non trovi? E poi, silenzio un momento… che non lo senti?
DSP: Aspetta ci provo… Mmmm… non proprio. Ma che cosa dovrei sentire in particolare?
USA: E dai… mamma mia, come fai a non sentirlo? Io me lo sento proprio nell’orecchio come quella vecchia canaglia di Capitan Uncino. Il ticchettio… accidenti ma che baccano fa il tuo orologio biologico?! Ricordami un po’ quanti anni hai?
DSP: Guarda che è il termostato del forno…
USA: Ora non essere ridicola e scontata come ogni donna, su. Mi sembravi sveglia. Pensavo non ci fosse bisogno di spiegarti il mood della serata. Hai le lancette che ti fanno un 360 sul viso che neanche l’estetista quando ti fa la pulizia del viso.
DSP: Ma, io, veramente…
USA: No, non dire nulla. Teniamoci stretto il ricordo di questa notte come una perla lucente incastonata nell’oscurità della notte…
DSP: Vedi che quello che luccica è il diamante…
USA: E ho capito ma poi da lì è un attimo che ti torna la voglia dell’abito bianco. Lo faccio per te, che credi. Non mi capisci proprio. Ecco vedi, sei pesante. Non ci capiamo. Poi discutiamo, litighiamo, ci accapigliamo. Tu mi spacchi il servizio di piatti che mammà mi ha regalato. Le lacrime, le corna, le ventenni, le delusioni. Le ventenni. E dovrai andare via di casa disperata. Le ventenni. Tanto vale che non resti proprio e vai via adesso. Vedi quanti step dolorosi ti ho evitato? Dovresti ringraziarmi come minimo.
DSP: Quindi, tanto per fare una proposta avanguardista, volessimo per caso aggiornarci per una cena?
USA: Ma una cena come? In che senso? Che stiamo seduti da qualche parte mangiando una cosa e facendo 4 chiacchiere del più e del meno senza nulla a pretendere?
DSP: Eh sì, si potrebbe provare.
USA: Addirittura già alla cena sei arrivata? Ora mi sembra tu chieda davvero troppo… Sono stato più che disponibile con te. Ti ho accolta in casa come neanche un’ospite e sarebbe bene ti accontentassi. Che l’ospite è come il pesce: dopo 3 giorni puzza. Poco conta se sei una persona che ci tiene all’igiene. Quanti vodka tonic dovrei buttare giù per sostenere una serata che sfiori la parvenza di normalità con te? Scusa ma vorrei lasciare le cose così.
Che poi metti caso inizi a piacermi? Mi tocca scriverti ancora. E metti che sto bene con te? Mi tocca rivederti. E mi gioco gli anni più belli della giovinezza e a ruota tutte le ventenni scopabili delle notti capitoline. Sto collezionando esperienze di vita che credi. Sto sperimentando una tecnica che mi evita qualsiasi rottura di palle da quelle come te che provano anche solo a fare un ragionamento dal filo logico. Se tralascio i sentimenti non è un problema, anzi. Il rischio di innamorarmi non lo sto proprio mettendo in conto ora. Che poi torniamo al discorso di prima… il lavoro, gli amici, lo sport, il lavoro. È una fatica anche evitare i sentimenti sa. Come puoi non capirlo e non aiutarmi in questo io proprio non me ne faccio una ragione…
DSP: Vabbè, una cena… era per dire…
USA: Eh sì, ma è meglio che non dici. È meglio che non diciamo. Io lo so, tu lo sai ma che ce lo diciamo a fare. Lasciamo le cose così, nella loro dimensione astrocomica-galatticocinica-surrealassurda. Che poi questo alone di mistero fa sempre molto film di Hollywood. Ti pare? Ti sto facendo vivere in un film 4D.
DSP: Ma nei film c’è il lieto fine di solito…
USA: Il lieto fine è che l’hai appena sfangata, Donna. Ancora non lo hai capito?
DSP: In effetti…
Simil dialogo tratto da storie di vita di 30enni attonite, sconcertate e avviate sull’orlo di una crisi di nervi. O anche in cammino sull’arduo sentiero dell’espiazione di ogni peccato possibile e quanto mai immaginabile.
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