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Le nostre anime di notte

immagine di un cielo stellato

E poi ci fu il giorno in cui Addie Moore fece una telefonata a Louis Waters. Era una sera di maggio, appena prima che fosse buio.

Perché la notte è delle anime che s’incontrano. Il giorno, delle anime che si rivelano.

Il libro

È stata un’intuizione. Anzi no, credo di dovermi correggere. È stato un colpo di fulmine per un’intuizione. E sì che Kent Haruf è uno degli ultimi doni dell’America contemporanea ma per me, finora, è stato solo un nome come tanti nella lista dei miei to read. L’idea era quella di fare la sua conoscenza con Canto della pianura, o meglio ancora con Vincoli. Alle origini di Holt., la cittadina immaginaria del Colorado che ha ispirato la penna dello scrittore. Ma negli scaffali si è fatto avanti prepotentemente il libro che ha apposto il sigillo sulla Trilogia della Pianura: Le nostre anime di notte, edito da NN Editore. Chi sono io per dire no ad un’intuizione dalla insolita perspicacia. Le nostre anime di notte è un libro semplice. E per semplice intendo delicato, genuino, scorrevole, senza strepito né clamori, scevro da quelle descrizioni minuziose che, spesso, allontanano dal cuore della storia. La scrittura lineare e asciutta imprime forza a due persone che si riscoprono unite dal desiderio di avere ancora qualcosa da dare e da ricevere. Appena qualche riga dopo l’inizio e finiamo dritti a casa di Louis, uno dei protagonisti del romanzo, per leggere di una proposta “indecente”…

Dopo aver camminato sotto gli alberi, la donna svoltò all’altezza della casa di Louis. Quando Louis le aprì la porta, lei disse, Posso entrare a parlarti di una cosa?

Le nostre anime di notte è la storia di una scoperta, di un uomo e una donna, entrambi vedovi, che a settant’anni decidono titubanti di provare a ricordare cosa è rimasto dei loro ricordi. L’accordo è di trascorrere le notti nello stesso letto, per parlare e farsi compagnia. Sono solo due vecchi che parlano al buio ma nelle parole schiette di Addie e Louis, riconciliate in dialoghi diretti e immediati che non lasciano spazio alla fantasia, è racchiusa l’essenza di un libro dalle pagine tenere. È la tenerezza che trapela dalle pagine del racconto, da quel camminare in punta di piedi dei personaggi su un terreno lasciato incontaminato per anni. O forse mai seminato, chissà. Addie e Louis in fondo non fanno niente di male se non tenersi compagnia in quelle ore della notte in cui i fantasmi del tempo passato tornano a bussare. Eppure fino alla fine, anche quando si pensa si siano vissute tutte le vite possibili, ecco che quel sentimento che spinge gli esseri umani a stringersi nei momenti di solitudine diventa l’occasione di tornare alla vita, tenendosi la mano.

La bellezza di questo racconto si raccoglie intorno alla purezza d’inattese emozioni, che nascono da un’idea ragionata, o meglio, da un bisogno. Un sentimento di solitudine da colmare, seguito dall’urgenza di non sentirsi più soli in quel periodo dell’esistenza che talvolta chiamiamo “crepuscolo”. Nell’età delle rughe, in cui l’istinto alla sopravvivenza diventa predominante, due anime di notte s’incontrano in un letto, parlano, si conoscono e ritrovano quello stimolo alla vita sedato dagli anni.

Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me. Cosa? In che senso? Nel senso che siamo tutti e due soli. Ce ne stiamo per conto nostro da troppo tempo. Da anni. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare.»

Un sentimento che si fa scoperta, seguito dalla slancio a voler combattere un senso di abbandono che spesso accomuna molte persone. Da una mancanza, dalla solitudine di notti buie e silenziose, tornano a sbocciare sentimenti di riscoperta, di voglia di fare e di cauta amicizia che diventa pian piano amore.

Il sentirsi meno soli, ancora vivi a settant’anni, supera ogni confine temporale ma anche le rigide e bigotte strutture sociali di una piccola cittadina americana. Intendo quelle stereotipate, e quanto mai attuali, dicerie provinciali di cui Holt si nutre, dove il pettegolezzo vola di bocca in bocca e agita le giornate noiose dei suoi abitanti. L’amore che sboccia in un’età in cui per le credenze popolari non ha motivo di esistere è sicuramente qualcosa di rivoluzionario, che in barba ad ogni dettame sociale decide di andare avanti. E sì che ce ne vuole a trovare il coraggio di tornare ad amare con il bagaglio di esperienze riempito dagli anni.

I personaggi restano superficiali, senza entrare in una caratterizzazione prepotente imposta dallo scrittore. La provincia americana di Kent Haruf prende le distanze da quella di Cormac McCarty, più corale, epica e inondata da descrizioni rifinite e minuziose che, a volte, rischiano di confondere il lettore. Ma per carità, tutta questione di preferenze. Io ho deciso che Haruf fa per me, con la sua prosa spontanea a disegnare lettere d’amore. Quello con Haruf è stato un primo appuntamento, improvviso, nato dal caso di un giorno d’inverno dal sole frizzante. Seguirà un secondo e poi un terzo e anche un quarto lungo la strada della Trilogia della Pianura e sarà l’inizio di una vera storia d’amore. Lo so, andrà senz’altro così.

Il film – Le nostre anime di notte

Robert Redford e Jane Fonda in una scena del film

E poi il film. Le nostre anime di notte è stato tradotto in una pellicola cinematografica (disponibile su Netflix) che preserva quasi alla lettera i dialoghi del libro ma con qualche variante. Per lo più resta una trasposizione fedele all’opera di Haruf ma a prescindere dal libro resta un film senz’altro da vedere. Se non altro perché i protagonisti, Addie e Louis, sono interpretati da due mostri sacri del cinema americano: Robert Redford e Jane Fonda. Lei, a qualunque età, è difficile da inquadrare come un’anziana signora per la sua straordinaria bellezza, ma accanto a Redford funziona come poche. Lui, nella versione che amo di più, con camicia a quadri e in pieno stile americano, racconta la condizione dell’età in modo impeccabile. Quello sguardo malinconico, i gesti delle mani segnate dal tempo e quei movimenti lenti e fragili che richiamano alla memoria storie familiari. Ne è passato di tempo dalla spensieratezza e dalla dinamicità di A piedi nudi nel parco, dove Jane Fonda saltellava di qua e di là in un monolocale e Robert Redford saliva le scale a schiena dritta. Resta ferma, però, la capacità di raccontare delle vite con estremo talento e personalità. Un film dolce e delicato da guardare con un pacchetto di kleenex nascosti sotto il cuscino.

Una estratto dal libro

E poi ci fu il giorno in cui Addie Moore fece una telefonata a Louis Waters. Era una sera di maggio, appena prima che facesse buio. Vivevano a un isolato di distanza in Cedar Street, nella parte più vecchia della città. Olmi e bagolari e un solo acero cresciuti sul ciglio della strada e prati verdi che si stendevano dal marciapiede fino alle case a due piani. Era stata una giornata tiepida, ma di sera aveva rinfrescato. Dopo aver camminato sotto gli alberi, la donna svoltò all’altezza della casa di Louis. Quando Louis le aprì la porta, lei disse, Posso entrare a parlarti di una cosa? Sedettero in salotto. Vuoi qualcosa da bere? Un tè? No, grazie. Non so se mi fermerò abbastanza per berlo. Si guardò intorno. È graziosa la tua casa. Diane l’ha sempre tenuta bene. Un po’ ci provo anch’io. È ancora graziosa, disse lei. Erano anni che non ci venivo. Guardò fuori dalla finestra verso il cortile laterale, la notte si stava accomodando fuori e dentro la cucina, una luce illuminava il lavandino e il bancone. Tutto sembrava pulito e ordinato. Lui la stava guardando. Era una donna attraente, l’aveva sempre pensato. Quando era più giovane aveva i capelli scuri, ma ormai erano bianchi e li portava corti. Era ancora in forma, solo un po’ appesantita in vita e sui fianchi. Probabilmente ti stai chiedendo cosa ci faccio qui, disse lei. Be’, non penso tu sia venuta per dirmi che casa mia è graziosa. No. Volevo suggerirti una cosa. Eh? Sì. Una specie di proposta. Okay. Non di matrimonio, disse lei. Non pensavo neppure questo. Però c’entra con una specie di matrimonio. Ma ora non so se ci riesco. Ci sto ripensando. Fece una risatina. In un certo senso è un po’ come un matrimonio, non ti pare? Che cosa? L’indecisione. Può darsi. Sì. Insomma, adesso te lo dico. Dimmi, disse Louis. Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me. Cosa? In che senso? Nel senso che siamo tutti e due soli. Ce ne stiamo per conto nostro da troppo tempo. Da anni. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare.

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