Lettera inventata da John Keats a Fanny Browne
Di tanto in tanto si mette un punto, pensando ingenuamente di poter andare a capo con la stessa leggerezza di un bambino che si rialza da una capriola. Punto e a capo. Cerchiamo di ricordare dove avevamo lasciato, dando inchiostro a iosa e cercando nuove righe. Pulite. Che aspettano di essere riempite con una calligrafia imperiosa che tanti cambiamenti di vita non sono riusciti a cambiare.
E si tenta di ricominciare a scrivere facendoci scudo con la maturità che ci ha fatto dire basta. “Siamo maturi ora. Ce la possiamo fare”. E riprendiamo in mano la penna come se nulla fosse successo. Come se fosse stato solo un sogno finito male da cui poi ci siamo svegliati ancora indolenziti. E continuiamo a scrivere il nostro racconto. Senza punteggiatura ma con tante sbavature.
Di buone idee ne abbiamo sempre (o perlomeno siamo convinti di averne); di cazzate ne abbiamo fatte tante e sicuramente ne faremo ancora. Di buoni propositi ce ne sono e neanche pochi. Forse troppi. Ma basta alzare gli occhi al cielo che la luna piena ce li manda in fumo. Illuso è chi pensa di poter ripartire sullo stesso foglio, seppur su una riga ancora bianca.
Allora si sfoglia pagina e si scrive tra le righe di un sentimento che non conosce spazi vuoti. Ma solo fogli e fogli pieni di parole vive che non si smette mai di leggere. E si leggono e rileggono senza stancarsi fino a quando non cominciano a splendere. Ed è qui che viene il bello…
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