Si dice che la notte porta consiglio. A me ha portato Marcel Proust e il suo Un amore di Swann. E con Swann sono sbocciate tutte le riflessioni paranoiche ma quanto mai veritiere di Proust sui moti cosmici dell’amore.
Lo definiscono un grande conoscitore dell’animo umano, quel Marcel Proust. Ma io trovo che sia di un’invadenza tale da permettersi la confidenza di toccare piaghe che sarebbe meglio negare. Perché, a volte, sarebbe sensato sorvolare su certi argomenti e lasciare che le ferite guariscano in silenzio. Lasciare che le piaghe facciano il loro tempo, fino a non sentirne più il dolore; fino a guardarle con distacco e nostalgia come tatuaggi sbiaditi sulla pelle.
Sarebbe opportuno, caro il mio Marcel Proust non dire ad alta voce certe verità, figuriamoci metterle nero su bianco. Sarebbe meglio tenerle per sé, sperando che qualcuno non le abbia ancora comprese. Perché certe verità non si rivelano mai. Piuttosto si mente a noi stessi con tutta la forza e la cecità di cui siamo fatti.
Ma ormai Marcel Proust ha deciso di giocare a carte scoperte, e io ci sto. E il mio “gusto per le sue parole è diventato esclusivo”. Spero lo sia anche per voi.
Fra tutti i modi di produzione dell’amore, fra tutti gli agenti disseminatori del male sacro, certamente uno dei più efficaci è questo gran soffio di agitazione che a volte passa su di noi. Allora l’essere col quale in quel momento ci piace stare, il dado è tratto, sarà lui che ameremo.
Non c’è neanche bisogno che finora ci sia piaciuto più di altri, e neppure altrettanto; bisogna solo che il nostro gusto per lui sia diventato esclusivo. E la condizione si è verificata quando – nel momento in cui ci è mancato – alla ricerca dei piaceri che ci dava il suo fascino si è sostituito improvvisamente in noi un bisogno ansioso, che ha per oggetto quel medesimo essere, un bisogno assurdo, che le leggi di questo mondo rendono impossibile soddisfare e difficile da guarire, il bisogno insensato e doloroso di possederlo.
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