Lasciate ogni fardello voi che lo portate… Foncebadon-Ponferrada
Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
Charles Baudelaire
Il Cammino del giorno era Foncebadon-Ponferrada. 4 gradi e sveglia alle 5. Quel mattino di nuvole ce ne erano e anche parecchie. Ma i desideri forse erano di più. Dopo una notte in cui un vento di ghiaccio ululava alla luna a far sentire il suo canto. Nessun conforto in un sacco a pelo impregnato di nuovo. Steso su un materasso appoggiato a terra in un angolo di soffitta. Accanto a me, uno sconosciuto, avvolto in una coperta di lana tarlata.
Ma come tutto, anche la notte aveva lasciato spazio alle ore miti, quelle del giorno. Ciò che restava di una notte estranea e confusa era la paura di partire e di vedere cosa aveva portato il vento dell’est.
Sveglia alle 5. Una montagna di scarpe accatastate alla fine di una scala di legno. Il fruscio dei k-way pronti a sventolare su un cammino di pietre e preghiere. Un arcobaleno di aquiloni a sfidare le nuvole fuori da Monte Irago.
Un caffè nero bollente, la fretta di coprirsi con tutto quello che si ha nella mochila e la compagnia improvvisata di tre estranei familiari, in attesa di muovere i primi passi del giorno. Insieme. La porta di legno cigolante che si apre, a marcare il confine con una strada che ci reclama. E freme.
Ma come ogni cosa che ci aspetta oltre una soglia, basta lasciar correre del tempo per abituarsi a quello che c’è fuori.
Basta muovere i primi passi, scaldare i muscoli indolenziti, affrontare la tempesta. Trovate il coraggio e l’incoscienza di andare avanti per oltrepassare i limiti del gelo iniziale.
Salite in cima alla montagna. Ostinatevi a camminare sulle difficoltà che incontrate per strada. Andate avanti, che man mano che camminate le nuvole si fanno da parte. Così è stato.
Una volta affrontati i primi chilometri lo spettacolo che ci aspettava è stato immenso.
Il panorama prima di raggiungere la Cruz de Hierro è un quadro che faccio fatica a tradurre in parole. Non ci proverò neanche. Mi affido all’obiettivo della mia fedele amica per cercare di mostrarvelo… ma perdonatela, anche lei ha i suoi limiti.
Siate pronti ad accogliere un morso allo stomaco. Lasciatevi riempire gli occhi di lacrime pur non sapendo ancora nulla di ciò che vi attende. Raccogliete il coraggio per muovere gli ultimi passi e salire sulla Cruz.
Fateli con cura, delicatezza e rispetto, perché state camminando sui sassi deposti lì da chi, prima di voi, si è liberato l’anima. Macerie di ricordi e speranze ancora accese. La Cruz de Hierro, a 250 chilometri da Santiago, nel punto più alto del Cammino Francese (1504 metri), è un luogo intriso di storie.
Una leggenda narra, infatti, che per la costruzione della Cattedrale di Santiago de Compostela sia stato chiesto ai pellegrini di contribuire con una pietra, da depositare dove sorge la Cruz. Oggi, tradizione vuole che i pellegrini portino, dal loro luogo di origine, una pietra o un oggetto allegorico da affidare alla Cruz. E lo lascino lì, voltandogli le spalle. Un gesto simbolico ad indicare la liberazione dei peccati attraverso il sacrificio del cammino.
Ancora pochi metri prima di abbandonare i propri fardelli, per far passare oltre gli spiriti che vi tormentano.
Ai piedi di quella montagnola ricoperta di sassi e santi, i passi fino a quel tronco di legno scalfito dai ricordi, si fanno sempre più pesanti.
Un cumulo di macigni posati lì per ritrovare la serenità sperata. L’ultima montagna da scalare.
Poi si vola. Finalmente.
E si incontra la consapevolezza di dire addio a qualcosa che ormai viveva sotto pelle senza neanche saperlo. La certezza che alla Cruz, tutti gli sbagli e le anime irrisolte avrebbero trovato la pace promessa. Dimenticate ogni turbamento. Condividete i fardelli con chi ha avuto la fortuna di buttarseli alle spalle prima di voi e sussurrate una preghiera. Quella del pellegrino.
La stessa che vi nasce dentro e che non avete mai avuto cuore di pronunciare. E se non doveste averne una, vi lascio qui, in prestito, la preghiera del pellegrino pronunciata da millenni a venire.
Signore, possa questa pietra simbolo dei miei sforzi, lungo il pellegrinaggio, e che lascio ai piedi della croce del Salvatore, pesare in favore dei miei buoni propositi, il giorno in cui gli intenti di tutta la mia vita saranno giudicati. E così sia. Amen.
Si riprende a camminare. Fate sosta per un sello ancestrale al Manjarin, l’ostello leggendario dei templari.
Vi sembrerà di essere in un angolo di Camelot. In perfetto stile con Il primo Cavaliere di Jerry Zucker.
Ma scordatevi di incontrare il Richard Gere o lo Sean Connery di turno… anzi!
Al Manjarin non c’è acqua né corrente. Un albergue vecchio stampo, in cui provare l’ebrezza (e il disagio direi) dei pellegrini di un tempo.
Si prosegue ancora in salita lungo la costa della montagna, quasi sempre in parallelo alla strada.
Ecco che si vede la base militare segnata sulla guida. Qui fa sosta una piccola roulotte adibita a bar. Il posto giusto per fare la seconda colazione prima di rimettersi in marcia.
Mi preparo. Tolgo qualche maglia perché ora si scende. E si suda. I chilometri successivi saranno solo in discesa. Dopo un breve tratto pianeggiante, la strada inizia ad avere forti pendenze, fino a raggiungere El Acebo.
Un paesino fatto di una manciata di case in pietra dai tetti di ardesia, nonché prima località del Bierzo. Qui incontro per la prima volta la parodia di Osho, con un seguito di una ventina di donne in atteggiamento di totale abbandono e devozione. L’Osho de’ noantri. Un tizio che per il solo fatto di avere una lunga barba bianca, non lavarsi e sciorinare quattro parole in croce senza senso, ha avuto la pretesa di erigersi a guru del cammino. La cosa pazzesca è che qualcuno lo ha anche seguito!
Prendo il mio solito zumo de naranja, quattro chiacchiere con qualche pellegrino e si riparte. Neanche un’ora di cammino e arrivo a Riego de Ambrós.
Supero Plaza San Sebastián e continuo per Molinaseca, scendendo la valle dell’Arroyo de Prado. Questo è uno dei tratti più impegnativi del Cammino, quindi fate molta attenzione a dove mettete i piedi. E cercate di essere clementi con le vostre ginocchia.
Uno scenario da fiaba, uno scivolo come strada e un gruppo di pellegrini spagnoli con cui fischiettare le note del Signore degli Anelli.
Lungo la discesa di Molinaseca ho ritrovato anche una coppia di inglesi conosciuti alla stazione di Madrid. Un insegnante di letteratura inglese che ha vissuto per qualche mese a Roma e che al momento trascorre nobilmente le sue giornate nelle brughiere dello Yorkshire. Un vero lord alla Pride and Prejudice insomma. In compagnia della sua nobildonna dal viso di cristallo.
Dopo aver visto Gomorra, mi ha confidato Mr Bingley, di non voler mai mettere piede a Napoli. Dice di essere troppo spaventato. Ho tentato, ve lo giuro, più e più volte, di fargli cambiare idea. Ma nulla da fare. Ho anche provato a dire che all’entrata di Napoli forniscono in dotazione un giubbotto antiproiettili e un siero dell’immortalità. Ma pare non abbia capito la battuta.
L’umorismo inglese fa schifo, diciamocelo. Pensate che mi ha paragonato ad una capra per il modo agile in cui scendevo Molinaseca. Ora, sì che in fondo voleva essere un complimento ma, santocielomisericordioso, qualcuno dovrebbe spiegare un attimino a questi simpaticoni anglosassoni che non si può paragonare una donna ad una capra. Neanche se a farlo fosse stato Lord Byron. Che diamine!
Comunque, da brava capra quale mi sono rivelata, accelero il passo e mi ritrovo sul ponte medievale del fiume Meruelo.
Vi consiglio una sosta pranzo in riva al fiume, per godere delle sue acque gelide. Lì il mio gruppo improvvisato si è riunito intorno ad un’insalata.
A farci compagnia Massimiliano, detto L’umbro. Dice di essere un rappresentante di scarpe. Ma io sono convinta sia un ricettatore di scarpe per conto di Gucci o Vuitton in incognito. Da pellegrino di nuova generazione, per Massimiliano gli ostelli sono terra di nessuno. Luoghi misteriosi a lui ignari. Pensate che era convinto che negli ostelli distribuissero ciabattine e asciugamani per tutti. Per chiarire, le sue giornate si concludevano in comode stanze di hotel a tre stelle. Ma vabbè, ad ognuno il suo cammino.
Riprendiamo insieme la strada verso Ponferrada, proseguendo lungo Avenida De Manuel Fraga Iribame. Superata la frazione di Patricia, seguiamo la via verso Campo. Un paesino di origine medievale in cui trovare affascinanti stemmi di armi sulle Casas Solariegas de Los Lunas, e le due case di Villaboa. Usciti da Campo, prendiamo la piana del río Boeza.
E Ponferrada fu. Un ultimo sforzo per attraversare il ponte pedonale da cui prende il nome la città. Nel 1082, infatti, il ponte venne rinforzato con del ferro estratto da alcune miniere presenti nella cittadina. Da qui il nome attuale: Ponferrada, ovvero Ponte di Ferro (Pons Ferrata).
Con le ginocchia in fiamme, raggiungiamo l’Albergue de peregrinos San Nicolás de Flües. Un ostello a donativo di 170 posti. Un incrocio tra una casa di riposo per buddhisti laici e un college americano versione hippy. Ci aspettano camerate di letti a castello e bagni misti in cui le porte sono un optional.
Dormire in un ostello di 170 posti significa aspettarsi la qualunque. Compresi Osho, piazzato a terra in mezzo alla camera a fare da arbre magique per ambiente, con i suoi proseliti al seguito. Bisogna essere pronti ad incontrare “generi umani” e odori che mai potete immaginare esistano davvero. Ma anche questo è il cammino. Ben venga tutto. Nonostante nell’albergue ci fosse a disposizione una cucina ad uso comune, optiamo per una cena in un ristorantino nelle vicinanze. Naturalmente menù del pellegrino.
Una cameriera molto simpatica ci fa mangiare qualcosa di cui ancora ignoriamo l’origine. Neanche il Prof e la Saggia sono riusciti a tradurre in parole quei piatti così poco definiti. Forse perché non esistono le parole giuste. Io e Violet, invece, mandiamo giù tutto senza farci troppe domande. Che tanto lo stomaco è l’organo comunista per eccellenza: lì dentro una cosa è uguale all’altra. Ma ogni dettaglio sembra essere perfetto così com’è. E, poi, pare che siamo ancora vivi quindi bene così.
Non avrei sperato in una più degna conclusione di giornata, in cui pianti e sollievi hanno spianato il cammino ad un’alba all’essenza di lavanda.
Il mio Cammino di Santiago giorno per giorno…
#3 giorno: Ponferrada-Villafranca del Bierzo
#3 giorno: Villafranca del Bierzo-Trabadelo
#4 giorno: Trabadelo-O’Cebreiro
#5 giorno: O’Cebreiro-Triacastela
2 Comments
Enrico
Settembre 28, 2017 at 9:31 pmNon so chi ha scritto questo racconto e se è frutto di una collaborazione. Chiunque sia stato non ha solo il mio plauso ma molto di più. Il resoconto non è certo un diario di viaggio ma trasmette al lettore un irrefrenabile desiderio di aver perso l’occasione di avervi potuto accompagnare. Ho camminato molto anch’io nella mia vita ma le diverse esperienze avute mancano della vostra ansia di ricerca di qualche cosa che è superiore al paesaggio e alle esperienze terrene. Il vostro racconto è grande perchè è pervaso dal desiderio di elevarsi dal mero “macinar chilometri su un percorso e tentare di raggiungere e poi raggiungere dei valori sovraterreni. Sono una persona poco credente perchè gli studi e le persone frequentate mi hanno influenzato, i vostri racconti non mi hanno lasciato per nulla indifferente, tutt’altro! Trentanni di meno e anche io avrei voluto provare le vostre sensazioni ed i vostri sentimenti. Aspetto con ansia e desiderio la prossima puntata e soprattutto quella finale. Brave è troppo poco e banale! Il vostro racconto deve essere fatto conoscere di più ed il vostro parroco dovrebbe farlo leggere a “Romano Rossi”per farlo diffondere e commentare in tutta la diocesi durante le ore di religione, una volta che le puntate saranno riunite e messo un commento generale. Un giorno avrò il piacere di conoscere le persone che hanno descritto cosi bene questa loro indimenticabile esperienza di vita.
Alice
Settembre 28, 2017 at 10:31 pmCiao enrico, grazie mille per il tuo commento profondo e sentito. il racconto è stato scritto da me, Alice, nonché autrice del blog. Però ti posso dire che tali parole non sarebbero fiorite se non avessi incontrato le persone di cui parlo. Persone, Pellegrini, Amici meravigliosi incontrati lungo il cammino. Auguro a te e a chiunque un’esperienza straordinaria come la mia.