Lungo il Cammino ci si perde e ci si ritrova… Ponferrada-Villafranca del Bierzo
Di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda
Italo Calvino
Sveglia come sempre alle 5. Il senso di spaesamento ancora mi disarma ma del resto è solo la seconda notte che passo in un sacco a pelo. Ad esasperarlo una camerata di un centinaio di persone, in cui siamo stati spettatori di un’ampia gamma di versi onomatopeici notturni e odori di varia natura. Il disagio insomma, quello vero. In un tale contesto è anche facile scendere serenamente dal letto a castello in mutande, convinti di essere soli. E ripiegare con altrettanta tranquillità vestiti e sacco a pelo senza calcolare che, magari, al piano terra c’è qualcuno. Sveglio!
Fortuna nel mio caso c’era il Prof. Penserete: Sì, d’accordo. Ma sempre un uomo è. E sempre il culo ti ha visto. Ma lo pensate solo perché non sapete di cosa si tratta. Si fa presto a parlare di “mutande”. La biancheria intima in questione è pari ad una copia sdrucita e peggiorata dei mutandoni di Bridget Jones. Vedere una chiappa intera con gli slip indossati durante il cammino è come credere nell’apparizione di San Giacomo che ti dice: stai serena, per il Cebreiro ci sono le navette.
La giornata non inizia nel migliore dei modi. C’è una sola macchinetta del caffè, a gettoni, e nessuno con 20 euro da cambiare. Ho già deciso di incatenarmi alla macchinetta e intonare, mano al petto, l’Inno di Mameli. Quando una bionda riccioluta dal mio stesso nome mi allunga 50 centesimi. Non l’avrei più dimenticata. Alice. Un caffè offerto in un momento critico come quello può significare più dell’atto in sé. Un altro insegnamento del cammino. Un ulteriore pretesto per riflettere sull’importanza dei semplici gesti. Perché sono proprio i piccoli gesti che ci fanno innamorare di qualcuno, di un’amicizia, della vita, così complessa eppure brulicante di semplicità.
I miei compagni si sono già avviati per una colazione in piazza. Li avrei raggiunti non appena finito quel caffè dal gusto gentile. Ma oggi sento di dover camminare da sola. Quindi un saluto rapido ai nuovi amici e la promessa di rincontrarsi lungo il cammino.
Non accenna neanche a fare giorno nonostante siano le 6.30. Il buio, i pensieri che si affollano e quel senso di smarrimento che non mi molla un attimo. Ecco che prendo la strada sbagliata. Lo sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. A me, che mi perdo anche nel giardino di casa.
Una sagoma si avvicina in lontananza e bruscamente mi chiede:
– Stai facendo il Cammino?
– Buen Camino a te (perché ovviamente oltre a non vedere nulla, sentivo ancora meno tanto dormivo)
– No veramente ti ho chiesto se stai facendo il Cammino.
– Sì perché?
– Perché hai sbagliato strada e stai andando al contrario!
Ora, il tono con cui questo tipo ha esordito non è che sia stato tra i miei preferiti. E sul finire della frase “Stai facendo il Cammino” ho avvertito anche un implicito “rincoglionita”. Ma effettivamente avevo sbagliato strada. Quindi incasso e sto zitta. Pochi metri e mi trovo a questionare con un estraneo sulla strada da prendere. Motivo di discussione erano delle indicazioni poco chiare. Lui dice di andare a sinistra. Io dico destra. Un battibeccare neanche lo conoscessi da 20 anni. Lo seguo pur non essendo convinta della sua scelta. Partiva da Saint-Jean, che diamine. Sicuro ne sapeva più di me in fatto di frecce, mi sono detta. Ma ci ritroviamo al mio punto di partenza, dove una concha mi dava ragione.
Le nostre strade, però, si sono divise ugualmente. Io ho ripreso la mia seguendo le frecce. Lui ha continuato a sinistra confidando nella sua mappa. Per i successivi chilometri mi ha accompagnata l’indignazione di aver seguito uno sconosciuto invece che ascoltare il mio istinto. Ma perché, poi, non ho dovuto fidarmi di una mia convinzione. Perché mi sono affidata a qualcuno di cui non sapevo nulla? Sono certa di non rivederlo più, eppure quell’episodio aveva lasciato dei puntini di sospensione. Un senso di incomprensione e incredulità destinato a restare in silenzio. Forse.
Continuo a camminare piuttosto a senso. Le frecce sono sempre poco chiare uscendo dalle città più grandi. Ma la strada in un modo o nell’altro si scorge. E così come ho trovato la Iglesia Santa María de Compostilla, ho ritrovato anche il pellegrino partito da Saint-Jean, a cui neanche avevo chiesto il nome tanto eravamo impegnati a bisticciare.
Dopo qualche altro scambio di battute su chi avesse effettivamente percorso la strada giusta, passiamo alle presentazioni ufficiali. Massimiliano. Un siciliano che vive a Milano, tifoso incallito della Lazio, che lavora “nella finanza” e corre maratone per l’Europa dall’età di 8 anni. Si può essere più bizzarri di così, dico io?! Difficile pensare ad una personalità semplice. Ancora più difficile non essere incuriosita da un pellegrino piombato in un modo tanto insolito sul mio cammino.
Il peggior compagno di viaggio in una giornata destinata ad ore di riflessiva solitudine. Il migliore per conoscere i propri limiti e condividere una frenetica voglia matta di andare. Quelle ore in cui avevo deciso di restare sola erano diventate occasione per scavarsi ancora un po’ dentro. Il cammino mi aveva portato lo stimolo giusto per toccare punti dolenti.
I racconti su quello che era stato il suo viaggio fino a Ponferrada, tra episodi surreali e dolori epici, procedono alla stessa velocità con cui riesco a tenere il passo di un maratoneta. Il Bierzo continua a mostrare il suo lato migliore. Cominciano i toni del verde, quello acceso, quello che irradia. Il verde dei vigneti e di un passato che affonda le sue radici in una tradizione vinicola tra le migliori al mondo.
Uscendo da Ponferrada si sale… Camminando, sulla sinistra, ci fermiamo per un sello nella Iglesia de San Esteban del 1778.
E si scende fino a Columbrianos, dove San Giacomo dipinto sulla capilla de San Blas y San Roque ci indica che siamo sulla strada giusta. Per arrivare dove, sta a noi deciderlo… di sicuro porta a Santiago. Poi chissà.
La mia assoluta incapacità di vedere nidi di cicogne piazzati su ogni comignolo diventa, passo dopo passo, sempre più imbarazzante.
Tra risate, presentazioni generali (inizialmente accantonate per fare spazio ad accese diatribe urbanistiche) e incontri di pellegrini da evitare, finiamo nei pressi di Camponaraja. Un piccolo comune di 3.000 anime situato in provincia di Léon.
Un’infarinatura generale su quelli che sono stati finora 30 anni di vita (o giù di lì) accompagna il nostro arrivo a Camponaraja. Nessuno dei due aveva intenzione di andare più a fondo. Meglio non sollevare quel velo di superficialità e leggerezza che aiuta a tenere un passo serrato ma lieve.
A Cacabelos ci si perde…
Un bosco che mi riporta a casa. Un sentiero che mi fa salire di nuovo in sella. Su quel cavallo che non vedo ormai da giorni e che mi manca come l’aria. I cavalli. Le querce, i ruscelli d’argento, le risate di pancia, i girasoli, i galoppi, le more, il vento d’estate. I cavalli. Un volo tra ricordi disciolti nel sangue, che scivola su distese di vitigni a perdita d’occhio. Ad annunciare la strada per Cacabelos.
Una breve sosta per il sello nell’Ermita de San Roque, con relativo sfoggio di ben tre credenziali del mio compagno di viaggio. Dei sellos da fare invidia a qualunque pellegrino. Perché sul cammino, dovete sapere, gli argomenti che vanno per la maggiore sono i sellos più affascinanti, i dolori più esilaranti e le vesciche più orride.
Attraversiamo Cacabelos e, poco più avanti, un sello nel Santuario Virgen de las Angustias è d’obbligo.
Si continua a camminare nelle terre di San Giacomo…
La sensazione che quell’incontro, così casuale eppure così superbo, custodisse un significato particolare mi cresceva dentro.
Sono bastati un passo troppo svelto (il suo), e uno troppo dolorante (il mio) per farci perdere di vista. Di nuovo. Ma ognuno ha il suo cammino. E nessuno dei due è disposto a rallentarlo o accelerarlo per stare in compagnia di qualcuno.
Del resto, quell’incontro è sempre stato pilotato dal destino. Perché allora non rimetterlo, anche stavolta, nelle sue mani?
A Villafranca ci si ritrova…
Con i miei tempi, e il mio passo, riesco a vedere il castello di Villafranca del Bierzo.
Me la ricordo bene quella strada di pietre a pugnalarmi i piedi. All’ingresso del paese i dolori cominciavano ad insinuarsi con prepotenza. È il momento di una sosta pranzo nel primo giardino di strada.
Il caso (che sono sempre più convinta non esista) mi fa inciampare ancora una volta in Massimiliano. Sta lì, stravaccato su un’amaca in compagnia di Anna, una deliziosa ragazza dai tratti angelici e le gambe del keniano Kirui. Anna macinava chilometri alla stessa velocità con cui io ignoravo i nidi di cicogne.
Quattro chiacchiere in compagnia. Un pranzo veloce. E dei colori che pian piano dipingono una tela. Massimiliano, che qualche chilometro in più di me se lo è lasciato alle spalle, mi ha confidato che il Cammino ti porta sempre quello che vuoi. Quell’incontro, quel cammino insieme, forse, un senso lo aveva portato per davvero. Bisognava solo offrirgli il tempo e la libertà di svelarsi. Qualche giorno dopo, l’ultimo del Cammino.
A Santiago.
Quel pellegrino celava una storia assai simile alla mia, solo con parecchi sbagli in meno. La mia storia, d’un paio di anni più avanti, aveva dato conferme ad una sua scelta. Difficile ma necessaria, come ogni decisione importante. Una scelta che a me è costata molto, proprio perché mi è mancato il coraggio di farla prima. Qualche risposta, effettivamente, la stavo trovando. In uno sconosciuto. Un viaggiatore. Un amico.
Pare che parlare e riparlare di un’esperienza aiuti a vedere delle sfumature che spesso ci sfuggono. In ogni racconto trapela una nuova consapevolezza. Ad ogni parola segue la catarsi per una scelta sbagliata che, talvolta, si fatica ad ammettere.
Credo che il Cammino illumini zone che ci siamo ostinati a tenere in ombra. O, perlomeno, doni una luce diversa a tutto ciò che finora abbiamo creduto di vedere chiaramente.
Jonathan Safran Foer ci rivela che ogni cosa è illuminata dalla luce del passato. In questo caso è stato il mio passato a dare nuova luce al suo presente. Lo scandagliare di un passato, doloroso, ha illuminato il presente di qualcuno che, come me, era in cerca di risposte.
Sul Cammino ci si smarrisce ma ci si ritrova sempre…
Questo strano incontro ha portato due sconosciuti ad essere ognuno scrittore e lettore della storia dell’altro. Due vicende paradossalmente identiche, in cui sono stata io a scrivere il finale. E lui a leggerlo con un anticipo di due anni. Un finale che potrebbe sembrare lontano dal lieto fine, ma che in fondo ne aveva solamente uno possibile.
Accontentarsi di una vita in cui tutto sommato si sta bene, trascorrere i giorni sul filo di un equilibrio fittizio, solo perché non si ha abbastanza coraggio per alzare la testa e vedere di cosa realmente si tratta. Ecco, non è vita.
Lasciare che la zip si chiuda ma si chiuda male, o non si chiuda del tutto, non equivale ad aver trovato una giacca adatta a noi. Ma significa indossarne una stretta, che non ci copre come dovrebbe. Per troppo tempo. Ed è stato tutto il tempo sacrificato in quella giacca a viziarci con abitudini sbagliate e illusorie.
Che fosse stato questo il senso di un incontro così “violento” sul Cammino di Santiago?
La strada è vita, diceva Kerouac. Sulla strada si perde l’equilibrio, poi si ritrova. O se non si trova lo si continua a cercare camminando, scontrandosi con la vita. La propria e quella degli altri, in un eco di verità e stupori. La strada che percorriamo non è una strada già solcata. Non siamo vagabondi ma pellegrini. Non girovaghiamo con lo sguardo basso. Non camminiamo invano su sentieri già battuti.
Ma accogliamo il rischio di inciampare, ad ogni passo se necessario, prima di raggiungere la nostra andatura. Siamo pronti ad affondare in una palude per poi risalire. Ci mettiamo in discussione. Tentiamo e ritentiamo. Impegnati nella ricerca di confronto e di conforto. Ci si perde e si gioisce nel ritrovarsi. Le verità o le persuasioni a cui aspiriamo, si intuiscono solo camminando. Non esistono delusioni e sconfitte, ma solo marce coraggiose.
I dubbi si lacerano incontrando i pellegrini del domani e condividendo insieme passi di granito. Pesanti, stimolanti, reconditi e così pieni di vita. Le opportunità si affidano ad un caso che non esiste, per poi riconciliarsi con le scelte e gli errori commessi. In un’armonia di passi, chiacchiere e risate che fa la differenza.
Sul Cammino non c’è un luogo da raggiungere nel più breve tempo possibile. Quello che ricordiamo non è il punto di arrivo ma il cammino. Ognuno ha il suo passo. Ognuno procede con i suoi pensieri, la sua andatura, i suoi rallentamenti e accelerazioni. Non c’è un modo giusto o sbagliato di camminare. C’è solo il fermento di andare avanti battendo sentieri mai battuti. Perché, in verità, non c’è una meta segnata su una mappa. È il cammino stesso ad essere la meta. Noi siamo la nostra strada. Ciò che scorgiamo lungo la strada, in fondo, è ciò che siamo. Noi siamo il cammino.
Io sono il mio cammino.
Il mio Cammino di Santiago giorno per giorno…
#2 giorno: Foncebadon-Ponferrada
#3 giorno: Villafranca del Bierzo-Trabadelo
#4 giorno: Trabadelo-O’Cebreiro
#5 giorno: O’Cebreiro-Triacastela
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